Intervista a Cinzia Fumagalli di Titti Dell'Erba

Cinzia Fumagalli l’artista che dipinge capolavori del gusto

Intervista alla chef giudice nel programma La prova del cuoco su Raiuno, maestra della ricerca gastronomica denominata “confusion”: «Cucinare è un’arte intesa come abilità, tecnica, talento e stile che può e vuole fare emozionare».

di Titti Dell'Erba


Una donna che ha saputo dirottare il suo estro artistico nei confronti della pittura verso l’arte culinaria: perché di arte - che è talento, stile, tecnica che emoziona - in entrambi i casi si tratta. Cinzia Fumagalli, a Cinzia Fumagalli - alla quale Ristoworld Italy ha riservato, su proposta del presidente Marcello Proietto di Silvestro, la tessera di socia onoraria - nata a Lecco nel 1967, ha trasformato il diniego dei genitori di fronte al suo desiderio di frequentare a 14 anni il liceo artistico in un’opportunità optando per la scuola alberghiera. 
Dove ha imparato a fare sbocciare, irrobustendoli con la tecnica, il proprio talento ed estro dipingendo capolavori del gusto non sulla tela ma nei piatti. Anche perché a casa Fumagalli, far da mangiare è tradizione familiare, con la nonna e la zia da sempre cuoche nelle case delle signore.

Quando ha capito che voleva fare questo mestiere?
«Dopo il diniego dei miei familiari a farmi frequentare il liceo artistico, ho deciso di andare alla scuola alberghiera, ma scegliendo la sede più lontana da casa a 180 km piuttosto che quella di Bergamo a 35 km di distanza da casa. 
I miei genitori non potevano dirmi di no una seconda volta e così dovettero acconsentire. Il che per me voleva dire rientrare a casa non tutti i giorni ma solo una volta al mese. Ho cercato di traslare la mia passione per l’arte in cucina: in fondo l’arte è manifesto d’un sentire, di una espressione artistica che si rispecchia nei miei elaborati gastronomici, poiché cucinare è un’arte intesa come abilità, tecnica, talento e stile. 
Attraverso le mie creazioni cerco di solleticare i sensi, distinguendoli nelle sue differenze, in modo che i giudizi di chi degusta siano tanto più precisi e raffinati quanto più i loro sensi sanno leggere correttamente il piatto. In un piatto, come in un’opera d’arte c’è tuttavia però anche dell’altro. L’arte è emozione e la cucina può e vuole fare emozionare. Per me è un progetto che nasce, prima che nel piatto, su di un foglio da disegno. Sì, proprio così, i miei piatti li disegno, prendono forma come dei quadri, con tutti gli ingredienti e i colori in modo da avere ben visibile l’effetto finale: infatti, quasi mai replico lo stesso piatto».

Come descriverebbe la sua cucina a chi non la conosce?
«La mia cucina è una ricerca gastronomica denominata "confusion” laddove gli ingredienti sono l’elemento essenziale di ispirazione di un piatto dai nomi stravaganti. E’ un connubio di cucina internazionale e cucina della tradizione in cui utilizzo materie prime come, per esempio, quinto quarto, lingua d’anatra, meduse, calamari, frutta, ortaggi e spezie. 
“Il palpeggiatore perfetto a spasso nell’orto” è il nome del mio piatto ideato con medusa, calamaro e lattuga con la sua acqua, oppure “Pink” piatto rosa di cefalo marinato con succo e scorze d’arancia, maionese fucsia da barbabietola rossa e melograno, daikon e purea di mela annurca. 
Un piatto colorato dalle svariate e preziose proprietà benefiche e nutritive, sapido, minerale e ferroso iniziando dal cefalo, pesce cosiddetto povero adatto negli schemi ipocalorici e in quelli finalizzati alla lotta contro le malattie del metabolismo; passando al melograno ricco di vitamina C e fenoli; inserendo la barbabietola rossa, ortaggio dalle pochissime calorie e con un basso indice glicemico, ricco di antiossidanti e detox; aggiungendo il daikon di origine asiatica dal sapore acido-piccante dalle virtù disintossicanti e antigonfiore, diuretiche e drenanti, per finire alla mela annurca, profumata e dal sapore unico e aromatico, frutto rosso per eccellenza che contrasta il colesterolo. Tante virtù e bontà in un unico piatto! Pertanto la mia visione di cucina è colore e sperimentazione: faccio la spesa personalmente al mercato per acquistare frutta e verdura, spezie, pesce cosiddetto povero e carne tipo halal, più tenera rispetto a quella della macellazione italiana e compro carne di suino da macellai coreani perché sanno lavorarla molto bene. Andare al mercato mi diverte moltissimo, tanto che spesso accompagno amici e colleghi in questo momento di scelta delle materie prime».

Quali sono le sue esperienze lavorative che più l’hanno soddisfatta?
«Insegnare ai giovani cuochi del futuro al Centro Professionale di Formazione Alberghiero CFPA di Casargo è una delle maggiori soddisfazioni. La cosa più importante è riuscire ad insegnare agli studenti, a trasmettere con passione ogni tipo di tecnica e metodologia, ma sempre secondo la mia concezione di cucina, spesso non facendo neanche riferimento a testi scolastici. 
Insegnare per me significa trasmettere un sapere che va oltre le competenze e che allarga lo sguardo sulla vita, su valori come il rispetto, lo spirito di squadra, la capacità di accettare la sconfitta, la lealtà, dedicando del tempo anche al di là dello spazio scolastico per creare una motivazione più sentita e partecipe. Credo fermamente che, se insieme al sapere, siamo in grado di veicolare anche qualcosa di noi stessi, della nostra personalità, della nostra personale visione del mondo, il senso di quello che facciamo mettendo in gioco la nostra umanità, inevitabilmente scatta un coinvolgimento emotivo degli studenti per cui lo studio diventa un’occasione di riflessione più ampia. 
Accompagnarli nei boschi nei dintorni della scuola a raccogliere le erbe spontanee ed utilizzarle in cucina durante la lezione, conquistarsi le loro confidenze oppure vedere nei loro occhi l’entusiasmo, l’incanto e la sorpresa come avvenuto al Ristorante da Gualtiero Marchesi aperto per l’occasione esclusivamente per noi, o al Sigep a Rimini in una immersione nel magico mondo della pasticceria, saggiando e mostrando l’impegno professionale dei grandi maestri: sono tutti momenti in cui comprendi che la strada da percorrere è quella, è la giusta direzione per tramandare nozioni ed emozioni, testa e cuore. 
 Un'altra splendida esperienza è stata lavorare a Roma al ristorante “Settembrini Libri e Cucina” situato nell’elegante quartiere Prati, con un’incantevole sala da pranzo con 24 posti a sedere, un bel terrazzo e un dehors, offrendo la mia cucina fusion, con reinterpretazioni in chiave mediterranea con un menu di cinque piatti fissi e altri piatti variabili in base alla stagionalità dei prodotti. I commensali avevano la possibilità di comporre il proprio piatto, scegliendolo dalla vetrina con vista cucina nel quale avvenivano le preparazioni: si respirava passione per la cultura, la poesia e le cose belle».

Nel panorama gastronomico quali sono i cuochi che ammira di più e perché? 
«Adoro Terry Giacomello Ristorante Inkiostro, Giuliano Baldessari AquaCrua stella Michelin dal 2015, Giuseppe Iannotti stella Michelin dal 2014 e il suo Kresios e Valerio Braschi prossima apertura a Roma perché sperimentano, hanno una visione di cucina non comune e innovativa, propongono un viaggio attraverso gusti e consistenze diverse, creano qualcosa di nuovo, inaspettato, unico. Insomma, solleticano ed emozionano le mie papille gustative con la loro cucina d'autore. T
alentuosi chef coraggiosi e appassionati ma soprattutto storie di uomini visionari».

Avere vinto l’edizione del popolare talent culinario per cuochi professionisti Top Chef Cup cosa ha cambiato nella sua vita professionale e personale?
«Sono arrivata quarta nella seconda edizione di Top Chef Italia mentre nell’edizione di Top Chef Cup 2018 ho conquistato il primo posto. Il programma arriva dopo due edizioni di “Top Chef Italia” scoprendo 31 chef di talento che, mettendosi in gioco, hanno osato, si sono lanciati in ricette ardite, hanno sbagliato, si sono rialzati, sotto lo sguardo severo della giuria più stellata della Tv. Per me arriva il momento di una seconda chance, con altri nove ex concorrenti, l’occasione di rimettermi in gioco in questa edizione speciale: una nuova gara ancora più impegnativa, ogni volta un viaggio, ogni sfida in una cucina diversa. Avere come giudici di gara Annie Feolde (3 Stelle Michelin), Giuliano Baldessari (1 stella Michelin) e Mauro Colagreco (2 stelle Michelin) mi ha permesso di acquisire una maggiore consapevolezza, un riconoscimento e tributo per quello che sono e faccio. Noi non conoscevamo in anticipo i piatti che avremmo dovuto realizzare durante le riprese, perciò per me è stata una bella sfida, visto che amo sperimentare. A livello personale non è cambiato niente, anche se sappiamo tutti che la Tv dà visibilità. Ho, inoltre, avuto l’opportunità, dopo il talent, di partecipare ad una cena a 4 mani con lo chef Giuliano Baldessari: un’esperienza molto bella da ricordare, anche se il mio idolo è Madame Feolde, la prima donna al mondo ad aver ottenuto le tre stelle Michelin, una maestra che ha un concetto di visione della gastronomia a 360 gradi».

Come è approdata alla trasmissione mattutina più amata dagli italiani in onda su RAIUNO La Prova del Cuoco e quali suggestioni prova nel ruolo di giudice?
«Contattata dalla redazione per partecipare come chef della gara del Pomodoro Rosso e Peperone Verde, rilancio che avrei voluto una rubrica tutta mia. Per il provino ho preparato un piatto folle: raviolo con farina di canapa sativa decorticata, ripieno di papaya, burrata, maggiorana e ’nduja, servito su crema di pomodoro bruciato e arancia e pesto di nasturzio (fiore infestante) dal sapore piccante. Dopo un’ora dal casting mi comunicano di essermi aggiudicata il ruolo di giudice di gara per l’intera stagione televisiva 2019/2020. La Prova del Cuoco è un programma quotidiano in onda dalle 12 alle 13,30 in diretta su RAIUNO. 
Tante rubriche e gare gastronomiche, con un format rinnovato e diretto in maniera magistrale da Elisa Isoardi con la partecipazione di Claudio Lippi. A commentare e votare, una giuria di tre esperti: io, il critico gastronomico Lorenzo Sandano e lo storico di cucina Carlo Spallino Centonze. In trasmissione sicuramente è più semplice fare il cuoco che il giudice di gara: mi dispiace quando valuto dei piatti con un punteggio basso, vi assicuro che è più facile dare cinque che uno. 
Per me è un ruolo di grande responsabilità “giudicare” in maniera professionale, competenza e trasparenza, argomentando sempre il risultato di ogni singola pietanza. E’ un gioco ma il rispetto del lavoro altrui è fondamentale, ammiro tantissimo Elisa per la sua conoscenza di ingredientistica e proprietà alimentare ed è un’impareggiabile padrona di casa; in studio aleggia un’atmosfera giocosa e divertente, anche a telecamere spente ci divertiamo un sacco».

Qual è il suo punto di vista sul significato della femminilità nella ristorazione in Italia?
«Nel nostro Paese, come troppo spesso accade, anche in tema di cucina si dà spazio e visibilità solo agli uomini e si finisce istintivamente per credere che lo chef sia uomo per antonomasia. Non c’è nulla di tangibile che indichi la maggiore capacità degli uomini in cucina, è solo una questione di modelli della società in cui viviamo, una società a lungo maschilista, che solo da poche decine di anni ha cominciato a porsi il tema della parità di genere. 
La televisione, come sempre, contribuisce notevolmente a questa visione maschilista, lanciando trasmissioni e reality culinari con figure quasi esclusivamente maschili. Fortunatamente il mondo culinario sta iniziando a cambiare anche sotto questo aspetto, con tante professioniste che rappresentano l’eccellenza della cucina al femminile. Credo nella meritocrazia: la nostra è una professione di grande sacrificio e impegno, dove spesso non è facile coniugare lavoro e famiglia. Bisogna fare delle scelte, spesso le donne chef hanno un partner che lavora con loro. Ecco perché ho deciso di rimanere single senza escludere dalla mia vita gli affetti, anzi! 
Sin da giovane ho pensato che dare aiuto a chi è meno fortunato di noi sia un gesto d'amore, perciò ho adottato dei bambini a distanza: dare sostegno, amore e affetto può cambiare la loro vita e seguire il bambino nella crescita, essergli accanto nei momenti più importanti della vita mi riempie di gioia. Il progetto dell'ospitalità e dell'adozione è un'esperienza unica che cambia la tua vita e quella del bambino. Con mia figlia adottiva Anna ho un legame fortissimo: ucraina di nascita, vive in Italia da parecchi anni, è laureata in filologia, sposata con un giornalista italiano e madre di una bimba. Con lei e con i miei nipoti, nel tempo libero, mi dedico al gioco e al disegno.
Cerco di trasmettere la mia passione per l'arte, divertendoci a utilizzare i colori nelle varie tecniche sul vetro, cartapesta, ceramica. E’ un momento di grande gioia e d'amore».

Il suo sogno nel cassetto?
«Aprire un ristorante con all'interno una scuola… la mia, facendo cucina sperimentale con i ragazzi».

Titti Dell'Erba

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